La fine di un amore

Modello a 5 fasi per l’elaborazione del lutto, la morte

In questo articolo, provo a mettere in relazione la fine di un amore con la morte.

Partendo dall’interessante interpretazione etimologica della parola amore la cui origine si individua dal latino  a-mors = senza morte, quasi a sottolineare l’intensità senza fine di questo potentissimo sentimento. Direi, “il sentimento” per antonomasia.

Per questa ragione ho preso a prestito il modello a cinque fasi della Kübler-Ross (1970) che rappresenta uno strumento che permette di capire le dinamiche psicologiche più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia grave.

Da sottolineare che si tratta di un modello a fasi, e non a stadi, per cui le fasi possono anche alternarsi, presentarsi più volte nel corso del tempo, con diversa intensità, e senza un preciso ordine, dato che le emozioni non seguono regole particolari, ma anzi come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte.

Le dichiarazioni di coloro accompagnano i malati terminali alla fine della vita dono concordi: anche se la maggior parte delle persone sembra vivere le fasi secondo l’ordine in cui vengono descritte, non si tratta di un percorso “evolutivo a stadi”, per cui le fasi possono manifestarsi in qualsiasi ordine e ripresentarsi successivamente, ma anche presentarsi sovrapposte.

In questo articolo proverò a sostenere la tesi secondo la quale le 5 fasi vissute dal malato terminale coincidono, più o meno, a quelle che attraversa il partner innamorato quando viene abbandonato.

1 – Negazione (morte)

“Ma è sicuro, dottore, che le analisi sono fatte bene?” “Non è possibile, si sbaglia!” “Non ci posso credere”, sono le parole più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente rifiuta la verità e ritiene impossibile di avere proprio quella malattia. Molto probabilmente il processo di negazione del proprio stato può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ansia per la propria morte e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. È una difesa, che però diventa sempre più debole, con il progredire della malattia, qualora non s’irrigidisca e non raggiunga livelli patologici di disagio psichico.

  1. Negazione (amore)

Nella prima fase ci si rifiuta di accettare l’amara verità e la nostra mente ci protegge dal riconoscere la fine di un amore oppure dal renderci conto che tutto quello che avevamo costruito in coppia è svanito. “Sei sicuro amore? Fino a ieri mi hai giurato eterno amore. Abbiamo comprato casa. Dai amore è solo un momento di crisi”.

In qualche modo, in chi lascia, si instaura un nucleo emotivo ideale e fantastico che si sgonfia sotto l’influsso di un evento shoccante che la riconduce alla realtà. Chi è lasciato non accetta che i sogni, i progetti, le aspettative non abbiano più senso di esistere e, per la sorpresa e lo sgomento, si arriva a negare tutto.

In questa fase si dovrebbe comprendere che nella vita nulla è certo. In quel frangente la stabilità è solo dentro di noi e non possiamo darla per scontata fuori da noi… ma è ancora troppo difficile.

Sappiamo che i sentimenti non corrono su binari identici. Uno dei due partner, prima o poi allenta il rapporto; comincia a interessarsi ad altre persone; si distrae quando l’altro parla. Sostanzialmente, il rapporto comincia a essere sbilanciato. Questo sbilanciamento non è quasi mai simmetrico e se ciò avviene è una vera fortuna. I partner, allora, si lasciano senza avvertire risentimento e magari possono rimanere anche amici, perché si è esaurita da entrambe le parti di quella componente sessuale che alimentava la gelosia, altrimenti il nucleo emotivo essendo ancora attivo provoca scombussolamenti che si osservano nei chakra bassi. In genere si crede di essere ancora innamorati.

Il processo di negazione implica, infatti, che uno dei due partner non riesca a cogliere i segnali che indicano il deteriorarsi del rapporto di coppia. Accade, ad esempio, che non si accetti più di essere baciati oppure che si rallentino i ritmi sessuali.

Poiché non è facile rinunciare ai momenti belli della vita, subentra allora il meccanismo della negazione, che fa in modo che la persona non ammetta ciò che è evidente. Si diventa un po’ masochisti.

Del resto non ci si rende conto che la maggior parte dei rapporti, e non solo quelli sentimentali, una volta passata la tempesta emotiva, che ha reso possibile l’accettazione di qualsiasi difetto comportamentale del partner, si basa essenzialmente sulla reciproca sopportazione. La negazione e il masochismo morale sono alla base di molte situazioni, Il cui significato sembra sfuggire a ogni analisi che si fondi su considerazioni superficiali. Essi continuano ad operare, a nostra insaputa, per buona parte dell’esistenza, permettendoci di continuare a sognare anche laddove la realtà ha drammaticamente sancito la fine di un amore.

2 – Rabbia (morte)

Dopo la negazione iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, Dio. La frase più frequente è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto della morte, della chiusura e del ritiro in sé.

  1. Rabbia (amore)

Superata la fase precedente, il tempo intercorso ci ha aiutato a capire che quanto accaduto è reale. La realtà ci colpisce come uno schiaffo in pieno viso e ci sentiamo quindi pervasi dalla rabbia, da un risentimento verso l’ex partner, verso il destino, verso le persone che ci circondano o verso noi stessi, colpevoli di mancanze, incomprensioni, sbagli…

Sentimenti che possono essere vinti e superati se compresi fino in fondo: chiediamoci da dove nascono, perché li proviamo, sfoghiamoci e diamogli un nome.

Una loro conoscenza lucida ci permetterà di affrontarli e poi distaccarcene.

Ti colpirò, senza odio e senza ira,
come un beccaio, come Mosè il sasso;
e perché possa al fine dissetare
il mio Sahara, le acque del dolore
zampillare farò dalla tua palpebra.

Rigonfio di speranza il desiderio
andrà sulle tue lacrime salate
come un vascello che si spinge al largo;
nel cuore inebriato dei tuoi singhiozzi,
che mi son cari, echeggeranno quasi
un tamburo che batte la sua carica.

Non sono forse un falso accordo nella
divina sinfonia, grazie all’edace
Ironia che mi scuote e mi morde?
Tutto il mio sangue, tutto, è questo nero
veleno; ed io non sono che lo specchio
in cui si guarda la strega.

Coltello e piaga, schiaffo e guancia, membra
e ruota sono, vittima e carnefice;
sono il vampiro del mio cuore, un grande
infelice, di quelli a un riso eterno
dannati, e che non possono più sorridere

Baudelaire

3 – Scendere a patti (morte)

In questa fase la persona inizia a verificare cosa è in grado di fare, ed in quale progetti può investire la speranza, iniziando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazionale del paziente, sia con le figure religiose. “Se prendo le medicine, crede che potrò vivere fino a…, guarisco, farò…”. In questa fase, la persona riprende il controllo della propria vita, e cerca di riparare il riparabile.

  1. Scendere a patti (amore)

Dopo aver affrontato le fasi precedenti, ci si lascia andare al bisogno di patteggiare per poter cambiare il destino.

Ora ci si ritrova spesso a pensare a come riparare i propri errori, ci si domanda cosa avremmo potuto fare per non arrivare a tanto, ci si ritrova a fare “fioretti”, ad augurarsi ardentemente: “fa’ che non sia vero”, a telefonare, organizzare incontri per chiedere “scusa”, per ammettere le proprie responsabilità, per cercare magicamente di tornare indietro con “se avessi fatto…” oppure “se mi fossi comportato…”.

4 – Depressione (morte)

Rappresenta un momento nel quale il paziente inizia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo o che sta per subire e di solito si manifesta quando la malattia progredisce ed il livello di sofferenza aumenta. Questa fase viene distinta in due tipi di depressione: una reattiva ed una preparatoria. La depressione reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali sono andati persi. La depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire. In questa fase della malattia la persona non può più negare la sua condizione di salute, e inizia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione.

  1. Depressione (amore)

Quando ci rendiamo conto che sono tutte illusioni e che comunque la realtà è quella, allora le nostre emozioni virano verso la depressione.

Il dolore ormai è reale, non si può più negarlo né scappare dalla situazione e quindi non possiamo che arrenderci, con tutti i sentimenti che questo comporta.

In preda allo sconforto quindi si evitano stimoli, si cercano distrazioni, si evita di frequentare persone o posti che risveglino ricordi ma in realtà ormai è chiaro che l’unica  possibilità che resta è solo l’accettazione della situazione.

  1. Depressione (amore)

questa considerazione fa emergere tutto il bello legato alla storia finita, perché il brutto l’abbiamo già “consumato” di rabbia e lacrime.

Per quanto triste, questa è la fase in cui è necessario affrontare il dolore fino a toccare il fondo perché solo così si esaurirà prima.

Quando un amore finisce o si viene respinti, si può reagire sotto l’impulso della irrazionalità più sfrenata. L’esaurirsi lento o improvviso di un rapporto costituisce una delle esperienze più sconcertanti che la vita ci riserva, e lo sgomento con il quale assistiamo a questa tortura esercita sulla nostra anima un peso spesso insostenibile. Vi sono episodi che narrano come la morte possa prendere il posto che un tempo veniva occupato dai sentimenti. Scegliere di togliersi la vita, piuttosto che accettare la fine di un amore o convivere con l’esperienza del rifiuto e dell’abbandono, è uno espediente estremo ma purtroppo frequente. La coincidenza tra amore e morte in queste  circostanze è drammaticamente reale.

In simili momenti È facile precipitare nel baratro della depressione, affondando in acque sempre più cupe, sempre più vischiose che si lottano privandoci di ogni possibilità di prendere fiato e di tornare a galla. In questi casi, la depressione si configura come una spietata autocondanna, come un supplizio che la persona abbandonata si infligge senza rendersene conto. Se quest’idea diventa preponderante e cresce su se stessa alimentandosi nel silenzio dello sconforto della solitudine, il livello di rischio si innalza smodatamente, sfociando talvolta in gesti estremi.

5 – Accettazione (morte)

Quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva ad un’accettazione della propria condizione ed a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione, che però sono di intensità moderata. In questa fase il paziente tende ad essere silenzioso e a raccogliersi, inoltre sono frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto. È il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui ci si prende cura dei propri “oggetti”. È il momento dell’ultimo saluto, della riconciliazione con sé e con le figure affettivamente importanti. La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, anche se in questi momenti i pazienti possono comunque sperimentare diniego, ribellione o depressione.

  1. Accettazione (amore)

Se ci si è dati il tempo di affrontare e superare le fasi precedenti, questo è l’ultimo gradino. Il momento in cui accettiamo quello che è successo perché abbiamo smesso di ribellarci e di opporci all’evidenza e quindi, sfiniti, ora siamo in pace con noi stessi e con la nostra realtà.

Ora siamo pronti a lasciarci tutto alle spalle e sentiamo più forte la voglia di uscire, di conoscere nuove persone, di vivere…

Questo non significa che si è “guariti” e che la sofferenza si è esaurita: le ferite dovute alla fine di un amore ci sono e spesso possono ricominciare a sanguinare, ma finalmente si scorge una luce alla fine del tunnel.

A prescindere dalla fase in cui ti senti di essere, accetta i tuoi sentimenti e vivili perché:

L’amore non muore mai di morte naturale.

Muore per abbandono, per cecità, per indifferenza,

per averlo dato per scontato, per inanità,

per non essere stato coltivato.

Le omissioni sono più letali degli errori consumati.

Allora:

1) E’ fondamentale mantenere un buona cura di se stessi; questo si può fare curando l’alimentazione, mangiando delle cose che ci piacciono e se sappiamo farlo, cucinando. Inoltre fare del movimento fisico, ci permette di scaricare la tensione accumulata e di mantenere una buona forma fisica. Fare delle cose buone per sé, è un modo per coccolarsi, pertanto tutte le cose che hanno a che fare con la cura del corpo sono positive perché generano sensazioni di benessere.

2) E’ importante mantenere ordinato e pulito l’ambiente in cui si vive, buttare delle cose che non servono più e ricordano l’altro, questo ci permette di lasciare spazio al nuovo, ciò può dare una sensazione di novità e freschezza nella propria esistenza.

3) E’ positivo far entrare delle cose nuove nella propria vita, magari dedicarsi a un’attività che ci è sempre piaciuta e non abbiamo avuto possibilità di fare. Liberare le nostre passioni e far emergere la creatività contribuisce a migliorare notevolmente la nostra autostima.

4) Infine, è fondamentale evitare di frequentare e sentire la persona amata, se è possibile. Spesso per soffrire di meno, si tende a mantenere una relazione amicale con l’altro, ma questo alla lunga non permette una reale separazione e al contrario contribuisce a rimettere il coltello sulla piaga, occorre creare una chiusura più decisa, così da evitare ulteriori dolori. Per poter riprendere un rapporto amicale con l’altro, e non è detto che sia possibile, occorre del tempo e l’accettazione completa di quanto è successo.

La fine di un rapporto d’amore può essere difficile e sconvolgente. Tuttavia, occorre considerare anche che ciò non rappresenta la fine della vostra vita. Prendervi cura di voi stessi è un ottimo modo per rimettervi in carreggiata e, col tempo, sentirvi di nuovo felici.

5) Evitare di esercitare il detto chiodo schiaccia chiodo. Questo esercizio porta al cinismo,  alla degradazione e non ha mai portato benefici veri. Il rischio è quello di fare soffrire persone innamorate innocenti.

“Di tutto restano tre cose:

la certezza che stiamo sempre iniziando,

La certezza che abbiamo bisogno di continuare,

La certezza che saremo interrotti prima di finire.

Pertanto, dobbiamo fare dell’interruzione un nuovo cammino,

della caduta un passo di danza,

della paura una scala,

del sogno un ponte,

del bisogno un incontro.”

Fernando  Pessoa

Tutti coloro che perdiamo qualcosa ci tolgono; 
resta ancora uno spicchio sottile, 
che, come luna, qualche torbida notte 
obbedirà al richiamo delle maree. “

Emily Dickinson