Viaggio nell’Anima

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Viandante sono le tue orme
il sentiero e null’altro;
viandante non c’è un sentiero
il sentiero si fa camminando.

Camminando si traccia il cammino
e volgendo lo sguardo alle spalle
si vede il sentiero che mai
si deve tornare a calcare.
Viandante non c’è un cammino
ma scie nel mare …

Antonio Machado

È in questo “mare”, (territorio dell’essere) che si gettano via tutte le categorie concettuali, i veli dell’ignoranza e gli ottundimenti della coscienza, per percepire direttamente la natura della nostra realtà, ciò che veramente siamo, spogliati dai nostri ruoli, dalle nostre pretese e aspettative, dalle nostre maschere, dai nostri attaccamenti, tutti i tipi di attaccamento compresi il nostro nome, la nostra nazionalità, la nostra religione, il nostro credo politico e i nostri possedimenti materiali.

Allora non resta che l’essenziale, la riduzione di ogni nostra sovrastruttura al fatto che la nascita e la morte, nel nostro esserci, sono le nostre uniche certezze. Avere questa consapevolezza significa avere preso contatto con la nostra Essenza, con la nostra auto-natura; significa essere diventati “cielo senza nuvole”, “coscienza senza oscuramenti”.         

Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantino Kavafis

 

È in questo viaggio in cui farai conoscenza con la tua Ombra e i suoi contenuti che  secondo Jung, non è una cosa o un luogo.

in senso radicale, è la dinamica sottostante l’organizzazione dell’esperienza dualistica e quindi è priva di forma e di sostanza. È un dinamismo psichico ignoto che raccoglie modelli o schemi.

L’ombra è quindi una specie di grammatica dell’esperienza che risente, in misura maggiore o minore, dell’influsso di ogni azione che compiamo, esternamente o internamente, fisicamente o mentalmente. Ed è molto di più, perché in essa vi è anche la millenaria esperienza archetipica del mondo.

E finché nella mente dell’individuo esistono le tendenze abituali, finché percepisce la realtà come una collezione di cose separate, finché la coscienza viene concepita come una realtà separata da quella sensibile, esiste “Ombra”.

Il processo d’individuazione comincia con lo smascheramento che vuol dire portare alla luce della nostra consapevolezza ciò che abbiamo rimosso nella nostra vita accettandolo e integrandolo nel nostro sistema psicofisico.

Questo è un atto “folle” e il solo tentativo è già “follia” in quanto implica il coraggio di rinunciare al nostro sistema di pensiero, a ciò che abbiamo costruito, alle nostre aspettative, alle nostre sicurezze; è un atto “folle” perché implica il percorrere una strada in profonda solitudine, mai percorsa, lungo la quale siamo senza riferimenti e compagni di viaggio, dove vengono azzerati credenze e valori.

Lo smascheramento è un’azione radicale perché non dà scampo; è la via del silenzio che non ammette alibi dove ci si riconosce per quello che si è. Eppure, è come se una nostalgia lontana ci porti ad attraversare questo velo che separa la realtà concepibile fatta di modelli, di credenze e convinzioni da una realtà inconcepibile senza appigli logici né culturali. Una forza ignota, una curiosità, un istinto, ci conduce verso questa soglia, oltre la quale vi è l’abisso, ci siamo noi, dimensione solo presentita e mai sperimentata.

L’incontro con quest’abisso avviene in sogno o in particolari stati dell’essere e ha sempre qualcosa d’insolito, arricchisce e allarga i nostri orizzonti, ci regala un senso di sorpresa e di stupore, a volte un sorriso riflesso, a volte un momento di profonda sintonia con l’universo intero. In questa dimensione dell’essere si deve abbandonare il piano orizzontale, la superficie su cui scivola e si muove la logica aristotelica. Occorre spingersi verso l’ignoto, dove convergono tutte le filosofie e tutti gli opposti.

Nell’abisso misterioso del piano verticale, i confini s’incontrano, si perdono, si fondono e si confondono l’uno nell’altro. In questo stato dell’essere, al di sopra della polvere umana, ci si perde e ci si annulla, si muore e si rinasce, si ama e si odia. È lì il luogo in cui Dio è giorno e notte, inverno ed estate, guerra e pace, sazietà e desiderio, Eppure, solo lì possiamo comprendere che il nemico non è fuori di noi, ma dentro di noi.

Per questa ragione lo smascheramento è un compito difficilissimo, duro, foriero di dubbi e di sofferenze. È tale perché noi tutti cominciamo dallo stesso punto: crediamo di essere lui, l’ego. Perciò è anche un percorso imprevedibile poiché i suoi camuffamenti sono infiniti. Per questo, portare alla luce i contenuti della propria Ombra è un atto eroico perché occorre lottare contro se stessi, contro il Guardiano della Soglia (l’ego) oltre la quale vi è la nebbia da attraversare per entrare nelle terre sconfinate di nessuno e che tuttavia ci appartengono di diritto. E allora l’ego ci sfida, mette alla prova le nostre capacità, la nostra volontà di proseguire su questa terra senza sentieri, territorio della verità.

Per quali vie, con quali scorte, iniziare questo viaggio? E che viaggio sarà? Sara un viaggio in un territorio familiare? Sarà di andata e ritorno? Oppure non sarà nemmeno un viaggio dato che non ci si allontanerà dalla nostra casa di un passo? E se sembrerà così, sarà stato soltanto per un’astuzia della ragione o per un gioco della nostalgia? Eppure, a volte, inaspettatamente, capiterà di imbatterci in esterni che ci mostreranno un lato insolito, di ritrovarci in luoghi e paesaggi che, proprio gli stessi, d’improvviso sentiremo estranei: come le vedute di un sogno o il volo di un pettirosso tra le nebbie di autunno. Allora, amatelo quel pettirosso perché forse vi sta indicando la strada.

Iniziamo il viaggio con il considerare che le ferite che abbiamo subito nella nostra infanzia sono parte della condizione umana, la parte che, in fondo, motiva il nostro viaggio. Se non fossimo stati feriti saremmo rimasti bloccati in una dimensione psicologica adamitica caratterizzata da una “innocenza animale” che blocca e non fa crescere. Tuttavia, la natura della nostra specifica ferita, questo squarcio, attraverso il quale si intravede l’anima, definisce fortemente la nostra natura e chi siamo e determina la condizione di ciò che decidiamo di diventare.

La vocazione di certe persone ha origine proprio nelle loro ferite. Se un bambino ha sofferto a causa dei genitori, dopo essere stato aiutato dalla terapia analitica, facilmente diventa analista; il bambino che è stato salvato da una malattia dalla medicina è probabile che diventa medico; e se un bambino è stato guarito da una malattia mediante un’esperienza religiosa quasi certamente abbraccerà la via della spiritualità.

Ecco che l’uomo della soglia potrà intraprende questo viaggio munito solo di due scorte, il dubbio e la certezza, due requisiti apparentemente inconciliabili e, tuttavia, indispensabili lungo la strada che conduce (forse) alla meta.  Sul dubbio, chiedo all’uomo della soglia di dubitare degli insegnamenti che questa sera possono apparire incontrovertibili. In generale, dubitate dei maestri,  poiché sono più interessati a promuovere le loro dottrine anziché considerare i vostri punti di vista.

Non fidatevi mai di un’opinione per il solo fatto che l’avete udita spesso e quindi vi è familiare.

Non fidatevi della tradizione, il fatto che sia vecchia e si sia tramandata di generazione in generazione non necessariamente è garanzia di verità.

Non fidatevi neanche della novità che, sotto altro nome, potrebbe continuare a far perpetuare la tradizione. Né la tradizione né la novità sono garanzia di verità.

Non fidatevi delle congetture che non sono state mai dimostrate, poiché queste possono essere tanto giuste quanto sbagliate.

Non fidatevi delle argomentazioni convincenti, anche se appaiono obiettive, ma siate critici di fronte a ogni ragionamento troppo ovvio, e non accettate conclusioni ad occhi chiusi.

Non fidatevi delle vostre conclusioni per il solo fatto che vi siete scervellati sul problema. Essersi scervellati non è la garanzia che abbiate raggiunto la verità.

Non fidatevi di coloro che mostrano una grande vivacità intellettuale. La loro intelligenza non garantisce la verità di ciò che dicono, poiché vi sono farabutti brillanti, mentitori brillanti e perfino uomini onesti che pur essendo brillanti s’ingannano.

Non accettate acriticamente un insegnamento per il semplice fatto che vi viene fatto da un maestro fidato. Anche gli insegnanti fidati e benintenzionati possono sbagliarsi.

Capita, però, raramente, di incontrare un vero maestro. Egli è semplicemente qualcuno che ha iniziato prima di voi! Egli non insegna. Inizia dal centro e non dai bordi. Non è lui che insegna ma l’allievo che apprende.

Il maestro è uno studioso dell’anima che si chiede mille volte più degli altri “perché”. E non ha alcun punto di riferimento se non la propria “anima”. Sa tutto di essa che è ciò che resta quando si è dimenticato tutto, quando si è perso tutto.

Al contrario, sulla certezza, chiedo a voi di sperimentare personalmente se il viaggio intrapreso vi conduce verso la meta. Giudicate voi la vostra esperienza, l’unica che può separare il grano dal loglio.

 

La meta, in fondo, è sempre la stessa, non è mai cambiata da secoli ed è espressa dall’oracolo di Delfi: “conosci te stesso” che vuol dire conosci il tuo “demone”, la tua virtù, ciò per cui sei nato. È quindi un viaggio nell’l’ignoto che può essere realizzato “secondo misura” evitando, cioè, l’oltrepassamento del limite, l’”hybris”, che è la tracotanza per la quale la pena è la “nemesis”, cioè la vendetta degli “dei”;  significa potere guardare, anche da lontano, la “Terra Promessa”, ma con lo sguardo puro.

Questo è l’atteggiamento mentale per mezzo del quale desidererei che voi vi approcciaste alla vita: sperimentare, accettare ciò che conduce a voi stessi e rifiutare ciò che vi allontana dalla vostra virtù.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

 

 

 

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